Inflazione, Banche centrali e tassi: cosa sta succedendo?
Con un 2022 all’insegna di performance negative, nelle ultime settimane i mercati sembrano essersi stabilizzati e sembrano aver riacquistato fiducia. La domanda che tutti gli investitori si stanno ponendo ora è se l’attuale fase negativa di mercato continuerà o se siamo arrivati alla fine del ciclo ribassista. Nonostante non sia facile dare una risposta certa, è interessante guardare gli ultimi dati.
Il primo elemento che fa ben sperare è il dato del PMI manufatturiero (Purchase Manager Index, i cui valori sopra il 50 anticipano un’espansione economica, valori sotto il 50 anticipano invece un calo della produzione industriale e in definitiva una contrazione del Pil). Negli ultimi 3 mesi tali letture sono risultate sistematicamente inferiori a 50 sia per l’Eurozona e sia per gli Usa. Gli operatori di mercato ora sono convinti che le Banche centrali, data ormai la certezza di una recessione, siano prossime a rallentare la propria politica restrittiva.
A questo dato si sono aggiunte le notizie incoraggianti sull’inflazione. Negli Usa nell’ultimo mese l’inflazione è rallentata, segnando un +7.7% (rispetto a +8.2% del mese precedente); inoltre si segnala una riduzione anche dell’inflazione “core”, aumentata del 6.3% (rispetto a +6.6% del mese precedente). Alla luce di tali dati Jerome Powell, nel discorso di mercoledì, ha dichiarato di poter cominciare ad avere un atteggiamento meno aggressivo nel rialzo dei tassi già a partire da dicembre (negli Stati Uniti i future sui Fed Funds indicano che il punto di arrivo dei tassi USA sarà intorno al 5%, con un aumento di 50 bps a dicembre). In Europa invece la situazione è ben più incerta. Il caro vita in UE è risultato in aumento del 10% nel mese di novembre, in calo rispetto al +10.7% del mese di ottobre. Tuttavia l’inflazione “core”, ovvero escludendo le componenti variabili di energia, alimenti e tabacco, è rimasta stabile al +5%; secondo la Bce occorrerà attendere almeno un altro trimestre per il picco massimo. Alla luce dell’ultimo discorso della Bce, anche il Vecchio continente è ormai pronto ad un allentamento della propria politica monetaria. Gli investitori hanno così ridotto le loro aspettative sul rialzo dei tassi terminali europei dal 3.2% al 2.9%. I dati quindi sono incoraggianti, tuttavia forse è ancora presto per parlare di un effettivo pivot da parte delle Banche centrali. I rischi infatti sono ancora tanti, dal mercato del lavoro che non sembra rallentare (il tasso di disoccupazione di novembre è rimasto invariato e pari a 3,7% in Usa), al rischio di un allargamento del conflitto tra Ucraina e Russia. Inoltre se l’UE riuscisse a passare più o meno indenne l’inverno, il problema energetico potrebbe essere spostato solo di un anno: nonostante i nuovi accordi di fornitura, essi potrebbero non essere sufficienti a sostituire per intero i quasi 140 mld di metri cubi di gas che storicamente l’Europa importa dalla Russia, con il rischio di non essere in grado di riempire gli stoccaggi entro l’inverno 2023-2024.
Fonti: tradingeconomics, usinflationcalculator.com
Di seguito l’ultima nota settimanale del nostro ufficio di Milano.
Nota settimanale 25.11.2022
- Panoramica macro
- Inflazione, Banche centrali e tassi: cosa sta succedendo?
- La transizione energetica risulta ancora troppo lenta
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