La riapertura cinese e l’inflazione
Se nel 2022 il Pil cinese è cresciuto del 3%, segnando una delle performance più deboli degli ultimi 10 anni (a causa soprattutto degli effetti della politica zero Covid, del crollo del settore immobiliare e di una debole domanda estera), lo stesso non si potrà dire per il 2023. Con la riapertura del Paese, grazie a una serie di norme introdotte a dicembre, l’economia del Dragone dovrebbe tornare a crescere in maniera più significativa rispetto all’anno appena trascorso (il Politburo ha stimato una crescita del Pil del 5%). Ma quale potrebbe essere l’impatto di questa apertura sull’inflazione? La risposta a tale domanda è tutt’altro che semplice. Per molti analisti la riapertura della Cina potrebbe essere “inflazionistica” per via di un aumento dei consumi, di una possibile carenza del personale e per un incremento della volatilità dei prezzi delle materie prime. Innanzitutto a causa dei continui lockdown degli ultimi tre anni, le famiglie cinesi hanno ora molto denaro nei loro conti correnti. Questo tesoro è stimato a 14,8 trilioni di RMB. Di conseguenza, una domanda repressa, i tassi sui mutui e sui prestiti a livelli bassi e l’elevato risparmio potrebbero stimolare di nuovo i consumi.
Inoltre, nel Paese asiatico il mercato del lavoro potrebbe essere interrotto da nuove ondate di Covid. Uno studio ha mostrato che con i vaccini cinesi Sinovac e Sinopharm (i più somministrati in Cina), rispetto a quelli occidentali, si ha il doppio delle possibilità di riammalarsi di Covid-19. Con queste premesse, alcuni analisti stimano che, a seguito dell’allentamento delle politiche zero-Covid e con i festeggiamenti del Capodanno cinese, i casi di nuovi positivi potrebbero tornare a crescere. Le aziende, in particolare quelle manifatturiere, dovrebbero così cercare nuovo personale per coprire le assenze per malattia. Ciò renderebbe il mercato del lavoro molto instabile e di conseguenza si verificherebbero problemi legati all’offerta (quest’ultima potrebbe non tenere il passo della domanda). Infine l’esplosione del gasdotto Nordstream e le continue sanzioni da parte dell’Occidente contro la Russia hanno reindirizzato verso la Cina l’esportazione del petrolio russo. La Cina sta avendo un vantaggio in quanto può acquistare petrolio a prezzi scontati rispetto a quelli mondiali. Questo vale anche per tutte le materie prime, ma poiché la Russia ne è il più grande esportatore al mondo e la Cina il più grande importatore, i prezzi delle materie prime potrebbero essere più volatili. Secondo altri analisti, invece, i benefici che si otterranno a favore delle supply chain faranno in modo che la riapertura non farà surriscaldare l’economia e con la riduzione dei colli di bottiglia i prezzi calerebbero. Si veda infatti come dal culmine della pandemia, quando i noli marittimi erano aumentati fino a 10 volte, i flussi di traffico nei porti si stiano normalizzando. Dunque ancora non è ben chiaro quale sarà l’impatto della riapertura cinese, ma potrebbe essere uno degli eventi macroeconomici più importanti di questo 2023.
Fonti: Gavekal Research, Statista,J.P.Morgan, NS Partners
Di seguito l’ultima nota settimanale del nostro ufficio di Milano.
Nota settimanale 27.01.2023
- Panoramica macro
- La riapertura cinese e l’inflazione
- Il futuro dei computer quantistici
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